Fausto Zonaro - Pittore di corte del sultano di Turchia

Fausto Zonaro nasce a Masi il 18 settembre 1854, primo di sei figli, da Maurizio Zonaro ed Elisabetta Bertoncin. Masi è un piccolissimo comune adagiato sull’Adige tutto addossato alla provincia di Rovigo, ma da sempre sotto la municipalità di Padova. Piccolo paese, ma già culla di due personaggi di respiro internazionale e oggi quasi del tutto dimenticati: l’Abate Francesco Boaretti, erudito e filosofo settecentesco, che tradusse ad uso delle scuole, in dialetto veneto e in ottava rima, l’ottava ariostesca, nientemeno che l’Iliade di Omero e Giuseppe Dall’Aglio, che sempre nel Settecento fu ceramista a Vienna, alla Corte dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. La famiglia Zonaro, insieme ad un ristretto numero di famiglie, tutte di modesta condizione quali i Dall’Aglio, i Previero, costruttori di mulini galleggianti sull’Adige, i Corradin, i Gattin, i Trombin, sono presenti sul territorio della Bassa Padovana già dai primi anni del Seicento. Questa notizia si ricava dai registri parrocchiali che, secondo i dettami del Concilio di Trento, i parroci sono obbligati a compilare regolarmente con nascite, morti e matrimoni, volumi che la parrocchia di Masi miracolosamente ancora conserva nella sua interezza, nonostante le frequenti e devastanti alluvioni che periodicamente colpirono il Polesine nei secoli.
Maurizio Zonaro, come i suoi avi, è un muratore, ed intende trasmettere questa professione al primogenito Fausto. Ma il ragazzo, sin dalla più tenera età, manifesta una netta propensione per il disegno, e a 12 anni, col consenso paterno, frequenta l’Istituto Tecnico di Lendinara, cittadina distante 12 km da Masi. Tutti giorni il giovane Fausto percorre la strada a piedi nudi, con le scarpe al collo per non consumarle, e col passare degli anni scolastici si mette sempre più in evidenza per l’abilità e le competenze acquisite.
Da Lendinara passa a studiare a Verona, presso la celebre Accademia Cignaroli, diretta allora dal grande Napoleone Nani. L’iscrizione alla scuola è permessa allo Zonaro dalla generosità di una nobildonna padovana, Stefania Omboni che, oltre all’incoraggiamento di giovani artisti, dedica la sua vita all’impegno sociale, assistendo e curando i poveri e i disadattati di Padova. Suoi compagni a Verona saranno giovani che diverranno tra i più grandi pittori dell’Ottocento veneto: Giacomo Favretto, Angelo Dall’Oca Bianca, Alessandro Milesi.

Segue così il trasferimento a Venezia, ove apre una piccola scuola di pittura nei locali di Palazzo Pesaro, sul Canal Grande, e dove dipinge sia piccole tavolette di paesaggio destinate ai turisti in soggiorno in Laguna e tele di più ampio respiro di vita quotidiana, fanciulle in calli e campielli, feste popolari, venditori etc…
Tra gli altri allievi frequenta la scuola di Palazzo Pesaro una giovane donna, figlia di un ingegnere di Belluno, Elisabetta Pante, che in seguito diverrà sua compagna, nella vita e nell’arte.
E a Venezia conosce anche il Duca Paolo Camerini, che diverrà non solo l’amico intimo di una vita, ma anche uno dei più generosi mecenati in epoca giovanile dell’artista, mecenatismo che si esplica non solo nell’acquisto di alcune opere, ma anche nell’offerta di un ciclo pittorico per un salotto della sua lussuosa villa a Piazzola sul Brenta, detta oggi Simes-Contarini, tra l’altro l’unico ciclo pittorico che Zonaro realizzerà nella sua carriera. Si tratta di una trentina circa di pastelli, realizzati tra il 1887 e il 1889, di vedute di Napoli e luoghi circostanti: vicoli e strade della città, il 1 Vesuvio, fichi d’India, Portici etc…, pastelli che saranno poi incastonati nei muri e incorniciati da decorazioni in gesso che fungono da vere e proprie cornici. Il ciclo purtroppo attualmente non è più visibile in quanto una decina di anni fa i pastelli sono stati tutti rubati. Rimangono fortunatamente fotografie che ci permettono di avere almeno un’idea della composizione totale.

Ma Zonaro frequenta Napoli già da alcuni anni, ed è amico dei grandi pittori napoletani, primo tra tutti Attilio Pratella. La città partenopea, ricca di colori, di suoni, di popolo festoso e chiassoso lo attira potentemente. A Napoli realizzerà sia tele di grandi dimensioni tutte improntate alla vita quotidiana: acquaioli, sartorelle, scugnizzi, venditori ambulanti, sia tavolette di paesaggio, la maggior parte delle quali realizzate sulle pendici del Vesuvio, dove vive, allora regno incontrastato della Natura. Il capolavoro di questo periodo è senza dubbio “Il banditore”, datato 1886, ove il pittore rappresenta una delle figure più caratteristiche del folklore napoletano, tanto caratteristica che persino Totò ne vestirà i panni nel celebre film “L’oro di Napoli”, il “Pazzeriello” com’è chiamato in dialetto napoletano, ossia l’antico banditore della città che, reso ormai inutile il suo storico ufficio, diviene un autentico agente pubblicitario. Seguito da musicisti di strada e scugnizzi pubblicizza botteghe sparse in città e prodotti tipici, in questo caso il vino venduto a 5 Lire al litro. L’azione si svolge nello storico quartiere Pendino, pochi anni prima dello sventramento voluto dal Governo di Napoli per risanare una delle zone più invivibili della città. Come giustamente fa notare un articolo dell’epoca la Piazza del Pendino, soltanto due anni prima lastricata di cadaveri per l’ultima catastrofica epidemia di colera che colpisce Napoli è teatro, qui, di un’ampia scena di popolo festoso ed eccitato.
La composizione è assai ardita, talmente ardita che qualche critico d’arte del tempo griderà allo scandalo: sulla diagonale di sinistra si muovono almeno una cinquantina di figure, sulla destra il “Pazzeriello” seguito dal suo corteo irrompe nella storica piazza, attirando con urli e schiamazzi le donne in primo piano intente nel loro lavoro. Sull’ estrema sinistra, tra gli spettatori vi è lo stesso Zonaro insieme all’amico Camerini. E il Duca comprerà il quadro per la consistente cifra di 12000 Lire.
Ma non bisogna pensare che la vita di Zonaro sia stata, in questi anni, felice e spensierata. La concorrenza degli altri pittori, proprio perché di grande qualità, è spietata, il mercato delle sue opere è fortemente instabile e non riesce a trovare una piazza dove dominare. Egli è famoso e conosciuto, ma è uno dei tanti pittori presenti in Italia, altrettanto bravi e famosi. Tra il 1885 e il 1888 vaga tra Venezia e Napoli, senza un programma ben preciso, senza una meta definitiva. Lo stesso Zonaro dichiarerà più tardi che: “ Fu un periodo duro ed avverso. Il tempo passava senza lasciare traccia. Le città e i luoghi dove mi fermavo a dipingere non lasciavano alcuna impronta nella mia memoria. Le mie esperienze di quei tempi sono solo un ricordo confuso e indistinto come se, invece di viverle, le avessi soltanto sognate. Ma le impressioni che derivavo da questi miei viaggi erano come i colori che immaginavo sulla mia tavolozza”.
Il 1888 è l’ultimo anno fondamentale per la propria educazione artistica. Egli infatti è a Parigi, la capitale mondiale dell’Impressionismo, ed è a contatto con tutti quei grandi maestri. Se, in effetti, è la città più improbabile per farsi notare e crearsi una posizione, d’altra parte ormai è tappa obbligata per ogni artista di una certa rinomanza. Zonaro vi si fermerà soltanto un anno, ma sarà un anno di intenso studio e di affinamento delle proprie tecniche.
Ed infatti lo stile del pittore, originalissimo ed inconfondibile, prodotto di più scuole e movimenti artistici fusi insieme, l’Impressionismo francese, il colorismo veneto e il realismo napoletano, non subirà più alcun mutamento. Egli sarà sempre fedele a sé stesso, sino al suo ultimo giorno. Il suo stile, come è stato giustamente rilevato in recentissimi studi, tende sia all’Impressionismo, un Impressionismo piuttosto di superficie, che gli permette di condurre velocemente a termine i bozzetti e le tavolette, tutti studi rigorosamente condotti all’aperto, a contatto diretto con la realtà, sia ad uno stile più italiano, tipicamente ottocentesco, che sconfina quasi nella maniera, particolareggiato e pieno di colori, che Zonaro non esita ad utilizzare nelle grandi composizioni o nelle tele di vasto respiro, a loro volta realizzate in studio. Alla base di tutto questo un intenso studio della luce, che verrà sempre più affinandosi col passare degli anni e che lo faranno conoscere, nella sua ultima produzione, come pittore della vita e della luce.

Ed è con questo bagaglio di conoscenze tutto occidentale che Zonaro tenterà la sorte nel favoloso e misterioso Oriente, nell’anno 1891. A seguito della lettura di “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, un vero e proprio best seller di quegli anni, Fausto ed Elisa decidono di soggiornarvi per qualche tempo, alla ricerca di nuove ispirazioni e nuovi territori da esplorare. E sarà Elisa a partire per prima, da sola, assolutamente incurante di ogni pericolo che poteva correre una donna non accompagnata in una città così grande e totalmente sconosciuta, armata soltanto del proprio Diploma di Maestra elementare e di solida intraprendenza. Giunta a destinazione, tramite la Reale Ambasciata d’Italia, inizia da subito a tessere una fitta rete di rapporti e di conoscenze che risulterà poi fondamentale per il pittore, si mantiene con lezioni di disegno e di italiano, affitta due piccole case di legno, una per sé e una per Zonaro, nello storico quartiere di Pera, il quartiere economico e sede di tutte le Ambasciate europee.
Ricevuto il via da Elisa, Fausto Zonaro parte immediatamente da Venezia per Costantinopoli. Neanche sul battello che lo porta in Oriente smetterà di dipingere, lo testimoniano potenti e vivaci tavolette con paesaggi di Ancona, Bari, Corfù, Patrasso, Atene.

Lo sconvolgimento estetico alla vista di Costantinopoli è totale. Zonaro per qualche tempo interrompe l’attività per dedicarsi allo studio di quel nuovo ambiente così diverso eppur così affascinante. La luce, l’atmosfera, la natura sono completamente diversi dall’ambiente italiano e il pittore dovrà impegnarsi non poco per cercare di riprodurre esattamente ciò che vede e ciò che prova. E questa prima produzione, piccole tavolette con scene di vita quotidiana turca, sono indirizzate ancora una volta a turisti e commercianti che letteralmente pullulano a Costantinopoli. Ma la fortuna questa volta gli arride: dal 1891 al 1896, anno in cui Zonaro viene nominato Pittore di Corte, è tutto un crescendo di fama e di commissioni, e ciò si deve sostanzialmente a un fattore, creato e sostenuto interamente da Elisa, che nel frattempo è divenuta sua moglie alla quale si deve, senza dubbio alcuno, imputare gran parte del successo di Zonaro presso l’aristocrazia occidentale e orientale.
Donna moderna, intelligente, colta, con un ingegnoso lampo di genio comprende che i rapporti personali e le amicizie da lei tanto faticosamente guadagnate non bastano più, il marito ha bisogno di altro, e sostanzialmente di pubblicità. E la pubblicità, per un pittore dell’epoca, consisteva nel vedere i propri quadri pubblicati nei più accreditati giornali d’arte d’Europa. Gli atelier fotografici a Costantinopoli sono pochi, costosi e assai inadeguati per le esigenze della coppia e così, ancora una volta, Elisa parte, questa volta accompagnata dal primogenito Fausto I nato nel 1892, alla volta di Parigi, decisa ad intraprendere la difficile arte della fotografia. E molto probabilmente sarà la prima donna europea diplomata in fotografia. Una volta ritornata a Costantinopoli, armata di macchine fotografiche, acidi, pellicole, vasche per lo sviluppo, passa in rassegna buona parte della produzione del marito e spedisce le fotografie ai maggiori giornali d’arte del mondo. I giornali sono entusiasti, si moltiplicano articoli e recensioni con fotografie; uno di essi, l’Illustrirte Zeitung di Lipsia, arriva a pubblicare la fotografia del “Banditore” in copertina. Il giornale è letto nei salotti di tutte le Ambasciate europee di Costantinopoli, cresce l’interesse e tutti gli Ambasciatori, uno ad uno, correranno a conoscere Zonaro. Fioccano così commissioni, ritratti, paesaggi, proposte più disparate. L’Ambasciatore di Russia, Alexander Nelidov, metterà addirittura a disposizione un salone nell’Ambasciata di Russia ove Zonaro aprirà una scuola di pittura frequentata da buona parte dell’aristocrazia occidentale presente a Costantinopoli (Ambasciatrici, nobildonne, signore dell’alta borghesia) e da qualche esponente delle corte del Sultano.
E sarà lo stesso Nelidov, in accordo con l’Ambasciatore italiano Panza, a presentare al Sultano l’ultimo lavoro di Zonaro, il Reggimento Imperiale di Ertogrul sul Ponte di Galata. Il quadro, come tutte le grandi composizioni di Zonaro (di numero assai ristretto) è il risultato di numerosi studi preparatori compiuti rigorosamente dal vero e assemblati poi in una composizione più ampia e ricca di particolari. Gli Ambasciatori sapevano che il Sultano, lui stesso favoloso mecenate, pittore per diletto, avrebbe gradito il quadro, avendo tra l’altro lui stesso creato quel corpo di cavalleria; inoltre il Pittore di Corte precedente era morto da pochi mesi ed il posto era vacante. Abdulhamid II non solo acquista immediatamente l’opera, ma nomina Zonaro Pittore di Corte concedendogli anche uno stipendio assai più alto di molti dei funzionari di Palazzo.

Questo sovrano, così solo, ingarbugliato in una situazione politica che alla fine lo vedrà soccombere, che non trova di meglio, all’inizio del suo regno, nel 1874, che chiudere il Parlamento, assumendo così nuovamente il potere assoluto, esacerbando ancor di più i tanti focolai di rivolta che scoppiano in tutti i territori dell’Impero e che egli sistematicamente soffoca nel sangue, guadagnandosi il sinistro soprannome di “Sultano Rosso”, ipocondriaco, assillato dall’idea di venire assassinato, a tal punto da abbandonare la sontuosa e affascinante reggia settecentesca di Dolmabahçe, senza dubbio tra le più fastose residenze reali d’Europa, per ritirarsi nel più modesto e all’epoca non ancora terminato Palazzo di Jeldiz, e non uscirvi mai se non una volta all’anno, insieme a tutta la Corte, per recarsi a Stamboul (il cuore della vecchia Costantinopoli) a baciare la Veste del Profeta, di cui si ha memoria in questa straordinaria fotografia scattata di nascosto da Elisa, questo sovrano dicevo fu sempre assai benevolo col suo Pittore, sempre lo guardò con simpatia e con stima, a giudicare dalle commissioni a lui affidate: il ritratto dei figli prediletti, studi dal vero nel Parco della Reggia, commissioni di quadri quali una serie celebrativa dell’entrata di Maometto II a Costantinopoli avvenuta il 29 maggio 1453, atto di nascita dunque dell’Impero Ottomano, la copia del celebre ritratto di Maometto II di Gentile Bellini che in quell’epoca era passato a Londra, regalie in denaro, titoli quali Colonnello dell’Esercito e in seguito Pascià, doni quali un palazzo di tre piani nel quartiere di Besiktas, il quartiere a ridosso di Jeldiz adibito ad abitazioni dei funzionari di Palazzo a seguito della realizzazione di un quadro celebrante la vittoria dei Turchi sui Greci avvenuta nel 1897, commissioni straordinarie quali la sistemazione degli appartamenti destinati all’Imperatore di Germania Guglielmo e dell’Imperatrice in visita ufficiale a Costantinopoli nello stesso 1897, più la realizzazione di alcuni quadri celebrativi dell’incontro.
Ed è proprio in questa occasione, mentre riordina e sistema la quadreria nelle stanze destinate agli Imperiali, che Zonaro incontrerà per la prima volta il Sultano Abdulhamid. Queste le sue parole: “Stavo un giorno a rimettere dei nuovi quadri nel grande corridoio che conduce al teatro, coprivo cioè gli spazi rimasti vuoti dalla mia scelta con altrettante tele che credevo in armonia migliore con l’ambiente. Una voce si fa sentire e tutti i componenti la mia squadra scivolano veloci e in un baleno mi trovo solo. Mi credevo vicino a un grande pericolo. Che so? Un incendio, il terremoto? Stavo fantasticando per rendermi ragione di ciò quando la porta che dà all’atrio del teatro si apre. Un signore dalla barba rossiccia, in giacchetta e fez, facendo giocherellare un bastoncino che teneva nelle mani, mi fissa accennando un leggero inchino, ed io guardo questa silhouette, l’occhio si spinge oltre i contorni di essa ed intravedo i bianchissimi denti del negro Nadirà, il prediletto eunuco del Sultano. Mi ritrovo! Sono in presenza di Abdulhamid! Un inchino profondo, un saluto, mi raddrizzo. Sento che sono in presenza di un Sovrano e mi metto sull’attenti con la testa ben alta, con lo sguardo fisso in avanti come vent’anni prima mi avevano insegnato al Reggimento in Italia. Le mani erano conserte sì, ma guardavo in faccia ben diritto il mio Signore. Un Mussulmano non avrebbe mai osato ciò.
Con una voce da basso profondo S. M. mi rivolge la parola in turco. Concentro tutte le mie facoltà per comprendere ed essere pronto alla risposta.
“Come va? Vi trovate bene a Costantinopoli? La vostra famiglia sta bene? Vi sono dei buoni quadri nella mia Galleria?” ed io a tutto ciò rispondevo “Evet Effendi Mis” (Sì mio Signore) Poi s’avanza dal vano dell porta e, accennandomi un quadro, mi dice di levarlo di là e porlo al posto di quello piccolo che stava nello spazio al disopra della porta del teatro. Guardo e con l’occhio constato che per l’altezza non vi poteva stare. Stavo per esprimere l’inconveniente quando S. M., facendomi cenno col suo bastoncino a guisa di sega: “Copsi bir as!” (Taglia un poco) egli mi dice guardandomi sorridendo, ed io subito “Evet Effendi Mis!”. Poi un giro su se stesso e s’allontana. L’ultima visione è il fiocchetto saltellante del fez di Abdulhamid ed i denti bianchi del mingherlino negro che mi sbircia tirando la porta.
Mezz’ora dopo il quadro rappresentante un cavaliere del Quarto Reggimento, che per fortuna avea molto terreno e molto cielo era al suo posto; la firma dell’autore era scomparsa, ma che importa? Lega l’asino dove vuole il padrone…”

Preso possesso del Palazzo donato dal Sultano, Zonaro vi allestisce un’esposizione permanente delle proprie opere, destinando soltanto il terzo piano ad abitazione privata. Agli inizi del Novecento dunque Zonaro è al vertice della sua parabola artistica e vitale. Nel 1894 è nominato Cavaliere, nel 1897 Grand’Ufficiale, nel 1904 Commendatore della Corona d’Italia, nel 1900 e nel 1903 nascono le due figlie Jolanda e Mafalda, la casa è meta di personaggi turchi e stranieri di fama internazionale, ricordiamo almeno la visita del Principe di Napoli Vittorio Emanuele di Savoia e della consorte Elena nel 1903, in viaggio di nozze in incognito a Costantinopoli, che Zonaro poi ritrae da fotografie donando i quadri alla Reale Ambasciata d’Italia, dell’insigne astronomo francese Camille Flammarion, del Colonnello Inglese in istanza a Costantinopoli Winston Churchill, del Principe Abdulmecid, nipote del Sultano, intellettuale di primo rango della Famiglia Imperiale, pittore di qualità, di Enver Bey, capo dell’esercito che nel 1909 rovescerà il regime di Abdulhamid, di una schiera di ambasciatori, nobili, giornalisti, scrittori di mezzo mondo.

Elisa, dal canto suo, continua a fotografare i quadri, costituendo così un preziosissimo archivio di centinaia di fotografie, si occupa personalmente della casa e dei figli, prepara preziosi cadeaux, fotografa e impartisce lezioni di pittura alle potentissime donne dell’Harem, ove lei ormai ha regolare accesso: fotografie di quadri, ventagli e cuscini di seta con stampate opere del marito che lei stessa confeziona e colora a mano, guadagnandosi così onorificenze e medaglie che la innalzeranno al rango sociale delle mogli degli Ambasciatori stranieri. La casa dei coniugi Zonaro diviene dunque, per circa 10 anni, un solido punto di scambio culturale tra Oriente e Occidente, un luogo di incontro di mentalità, usanze, religioni diverse.

E così gli anni dal 1898 al 1909, anno del ritorno in Italia, sono anni febbrili e di duro lavoro. Zonaro infatti non rinuncerà mai a dipingere per proprio conto, all’aperto, perso nei vicoli e nelle stradine anguste di Costantinopoli, a bordo di battelli ancorati nel porto, all’alba, al tramonto, di notte. Realizzerà centinaia e centinaia di opere, tele, pastelli, acquerelli, tavolette, ritratti, col proprio stile che avrà sempre molto successo sia presso la committenza Orientale che quella Occidentale. Egli non cederà mai all’Orientalismo più oleografico e più banale che invade l’Europa dell’Ottocento, tutta la vita orientale viene indagata con sommo interesse: pescatori, venditori ambulanti, architetture, il Bosforo, le barche, la folla sul Ponte, i cimiteri, le strade, le feste religiose, ma sempre col proprio stile mai nulla concede all’accademismo e al cartolinesco.

E il tramonto di Zonaro in Oriente coincide con il crollo del regno di Abdulhamid. Nel 1909 Enver Bey, capo del movimento “Unione e progresso”, capo carismatico di buona parte dell’Esercito, appoggiato dal potente Ministro della Guerra Mahmud Sevket Pascià, costringe prima il Sultano a riaprire il Parlamento chiuso ormai da vent’anni e a ristabilire la Costituzione e poi, con un colpo di mano e relativo spargimento di sangue, costringe il Sultano all’esilio. Non basterà a Zonaro la calda amicizia col capo dei Giovani Turchi e col Ministro stesso per evitare l’inevitabile: Enver Bey infatti non può seguire le vicende del proprio paese e degli amici perché parte subito per Berlino, non tornando più a Costantinopoli. Al pittore viene risparmiata l’umiliazione del licenziamento, come tocca invece alla maggior parte della Corte di Abdulhamid, ma gli viene chiesto di pagare un salato affitto per continuare a vivere nel palazzo di Besiktas. Zonaro non può dimostrare con documenti che il Palazzo è di sua proprietà perché frutto di un dono e così, offeso e amareggiato, decide di tornare in Italia. A Costantinopoli Zonaro non tornerà mai più.

Tornato in Italia si stabilisce, dopo lunga ricerca, a San Remo, e la scelta è abbastanza comprensibile. San Remo è un’autentica Costantinopoli in miniatura: città di mare, ricca e cosmopolita, capitale incontrastata della Belle Epoque italiana, San Remo è meta prediletta della nobiltà europea (soprattutto inglesi e russi) che vi soggiorna per lunghi mesi, sia per svago che per cura. Zonaro ancora una volta ricostruisce da zero la propria vita. Organizza mostre in tutta la Liguria e in Costa Azzurra, apre un atelier permanente, si dedica prevalentemente a piccole vedute su tavoletta di città come Genova, Rapallo, Bordighera, Mentone, Nizza, Cannes, Monte Carlo, Antibes, alla ritrattistica a pastello, attività gradita ai grandi signori che sempre più desiderano un ritratto, alla riproduzione di quadri di soggetto orientale che sempre riscuotono un gran successo, oppure si lascia andare a toccanti quanto nostalgici ricordi di un mondo ormai perduto per sempre, come questo ritratto della figlia Mafalda in costume da odalisca, considerato uno dei vertici più alti di tutta la sua pittura. Ma San Remo è anche un gigantesco sanatorio per i malati di tubercolosi di tutta Europa; si calcola che, all’inizio del secolo, circa un terzo degli abitanti della città sia deceduta per la malattia lì importata da coloro che venivano a curarsi, e tra le vittime vi è anche la figlia Jolanda, morta a soli 21 anni. Un dolore che si viene a sommare a quello per la perdita del primogenito Fausto I, morto nel 1915 volontario alle Argonne, in Francia, a seguito delle truppe di Peppino Garibaldi, nipote del ben più illustre Eroe dei due Mondi. A San Remo, a villa Magnolia, morirà in esilio, nel 1926, l’ultimo Signore dell’Impero Ottomano, crollato ormai da tre anni, il Sultano Maometto VI, fratello di Abdulhamid. E il 19 luglio 1929, cittadino onorario di San Remo, morirà anche Fausto Zonaro. Con pubbliche onoranze viene seppellito nel monumentale cimitero della Foce, ove tuttora riposa. Elisa, la compagna fedele di una vita morirà circa vent’anni dopo, nel 1946, a Firenze, ove si era stabilita assieme alla famiglia della figlia Mafalda.. E a Firenze riposa nel cimitero di S. Miniato al Monte.

Queste, dunque, sono le vicende dell’ultimo pittore dell’Impero e della sua straordinaria compagna.